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Bachelet sull’orlo di una crisi di nervi per il Caso Caval: il Cile degli scandali affonda la sinistra

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Altri tempi: la presidente del Cile, Michelle Bachelet, pochi giorni prima della sua elezione, nel dicembre 2013. (foto: Pangea News)

Altri tempi: la presidente del Cile, Michelle Bachelet, pochi giorni prima della sua elezione, nel dicembre 2013. (foto: Pangea News)

Un minuto esatto in pasto alle telecamere. La voce evanescente per il pianto in agguato, le parole accorate e poi il congedo senza permettere domande: la presa di posizione pubblica della presidente del Cile, Michelle Bachelet, sul processo per evasione fiscale che coinvolge suo figlio Sebastian Davalos e che tra pochi giorni vedrà sua nuora Natalia Compagnon sul banco gli imputati, sembrava più una supplica alla nazione, che un chiarimento della sua estraneità ai fatti.

«Dal profondo del cuore voglio dire che sono stati tempi difficili, per me e per la mia famiglia. È stato molto doloroso, ci ha colpito profondamente, ma si tratta di un sentimento umano», ha detto ieri Bachelet, tornata due anni fa e per la seconda volta nella sua vita alla guida del Paese, come leader di una coalizione di centrosinistra. «Voglio però che sia chiaro che questa situazione non mi ha annebbiato la vista neanche per un minuto in quelle che sono le mie responsabilità come presidente della Repubblica».

Si riferiva al cosiddetto «Caso Caval», l’inchiesta che la stampa ha battezzato ironicamente «Nuora Gate», che potrebbe costare il carcere a 14 persone, tra cui la moglie di suo figlio, e che ha già provocato un danno d’immagine enorme al suo governo. I fatti che la procura e il fisco cileno contestano con l’accusa di «dichiarazione dei redditi maliziosamente falsa», che riguardano fatture per circa 400 mila dollari e un evasione da 160 mila, risalgono al 2013, durante i mesi chiave della campagna elettorale che avrebbe riportato Michelle a La Moneda.

Natalia Compagnon, il marito Sebastian e altri soci dell’immobiliare Caval (13 mila dollari di capitale sociale), si incontrano con Andronico Luksic, uno degli uomini più ricchi del Paese, nonché vicepresidente del Banco de Chile. È il 6 novembre 2013, gli chiedono un prestito da 10 milioni di dollari per comprare dei terreni a Machalì, 100 km a sud di Santiago. Un mese dopo, Bachelet vince le elezioni e la banca dà l’ok.

Così si consuma la prima parte dello scandalo: Sebastian Davalos è accusato dalla stampa di aver usato la propria posizione per fare pressioni e ottenere favoritismi per la ditta della moglie. Viene costretto ad abbandonare l’incarico da direttore delle attività culturali nel palazzo di governo, che gli aveva assegnato la madre, e se ne va dicendosi vittima di un complotto.

L’immagine della Bachelet, che era già in calo per altri scandali, precipita. Le sondaggiste Cep e Adimark misurano la sua caduta dal 44% dei consensi, ad appena il 24%. La tormenta però non è finita. Ora i riflettori sono accesi sulla piccola grande Caval, che sogna di trasformare gli immensi lotti agricoli di Machalì, in un moderno complesso immobiliare. La manovra però non è del tutto trasparente e il fisco ci trova l’ipotesi di reato che ora ha dato vita al processo.

«Mi sento un po’ discriminata. Non capisco perché si continui ad impedire alle donne di svilupparsi nel mondo degli affari», ha detto Natalia Compagnon uscendo da un tribunale che impiegherà circa un anno per tirare le somme sulla sua situazione. Un tempismo perfetto per le municipali di ottobre 2016 e le presidenziali dell’anno prossimo, dove naturalmente vorrebbe correre sua suocera.

Una versione di questo articolo è stata pubblicata su LaStampa.it


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